Se pronunciassimo il nome Marianna probabilmente nessuno riuscirebbe nell'immediato ad associarla a una persona o a un personaggio noto. Ma se dicessimo Monaca di Monza, allora subito si penserebbe alla Gertrude dei Promessi Sposi.
Eppure quella donna esistette davvero e il suo vero nome era Marianna de Leyva, divenuta poi Suor Virginia Maria e nota come la Monaca di Monza.
Matteo Strukul ha voluto dedicarle una storia che è un romanzo storico misto a fiction letteraria in cui amore, peccato e libertà sono i temi più rilevanti.
Un libro che dà voce a una donna tormentata, forse un po' come avrebbe voluto fare Manzoni nella prima edizione (quando il suo romanzo si chiamava Fermo e Lucia e la storia di Gertrude era un vero e proprio "romanzo nel romanzo").
Ma cosa ha voluto raccontarci su di lei? Lo dice bene Marianna stessa: la mia vanità , la mia sete di potere, il mio bisogno di liberarmi come donna.
L'odiata clausura
Quello che scoprii, fin dal primo giorno, fu che il convento non aveva nemmeno un punto da cui guardare l'orizzonte e la linea dei monti. Era chiuso da ogni parte. Come se la regola di clausura fosse rispettata a cominciare dall'architettura del luogo, negando alle sorelle la vista dell'esterno. Mi apparve dunque per quello che era: una vera e propria prigione. E quel fatto mi spaventò. Come avrei potuto sopravvivere per tutta una vita in un luogo come quello? Senza avere mai il conforto, nemmeno per un istante, della vista dei campi, dei monti o almeno del borgo?
È un tema affrontato in diversi modi nella letteratura, ma quasi sempre la clausura è vista in accezione negativa: è una costrizione, un ordine che viene dalla famiglia. Tante giovani donne si sono ritrovate in questa situazione e hanno dovuto accettarla, eppure chissà quante come Marianna o come la Maria di Verga hanno cercato scappatoie sentendosi soffocare dentro i monasteri.
Marianna, però, inizia a percepire quello spazio come una prigione quando si rende conto di cosa avrebbe perso rimanendo lì: guardare la natura e stringere relazioni umane, ovvero la libertà .
Quella notte mi ero resa conto per la prima volta di quanto la castitÃ
mi fosse odiosa: tanto da poter essere paragonata a una vera e propria
prigione.
Sete di potere
Sentire in mio potere Gian Paolo mi donava una sensazione indescrivibile. Quasi una vertigine. Provai un brivido di piacere e mi chiesi come negarmi a lui senza però impedirgli di nutrire la speranza di avermi.
Dal momento in cui riesce a catturare l'attenzione di Gian Paolo Osio, conte che abitava nel palazzo confinante il monastero, nasce in lei un senso di vanità , la voglia di essere ammirata, desiderata da un uomo che non può averla. All'inizio è solo un modo per sentirsi ancora una bella donna, di sentir lodata la sua femminilità nonostante le vesti monacali, ma poi la situazione inizia a sfuggirle di mano...
Brama di potere e oscuritÃ
Ero dunque dannata in eterno? Quella sensazione così ambivalente di impazienza e colpevolezza che mi scavava dentro come un insetto avido di cibo era il principio del mio castigo?
Sapevo cosa avrei tentato di fare. Avrei provato un'ultima volta a negare me stessa. Temevo però di non riuscirvi, perché ero consapevole di come, in un modo o nell'altro, Gian Paolo aveva inciso le sue iniziali nella mia carne.
Ben presto cedere all'istinto, alla volontà della carne, le diverrà inevitabile. Escogiterà espedienti per far di Gian Paolo un amante, per farlo entrare nella propria cella non vista, per vivere un amore proibito eppure così dolce e prepotente.
Ma poi tutto questo la porterà a volere sempre di più, anche ai danni di altri, al punto da abbracciare l'oscurità e le peggiori nefandezze portando Gian Paolo con sé tra i peccati più torbidi. Motivo per cui la sua pena sarà delle peggiori: 'Cinque braccia per tre': tanto è grande il mio universo, oggi. Murata viva in questo lercio cubicolo
Eh sì, la vicenda si conclude così, ma lo si sa già dal prologo (quindi non è spoiler): la cosa più importante nella lettura del romanzo è il percorso che compie questa donna.
Lo stile
Ancora una volta Matteo Strukul ha dimostrato di avere una capacità non indifferente di mettere le mani nella storia e nella letteratura di diversi secoli fa, riuscendo a tirar fuori una storia che emoziona scuotendoci dall'interno.
Narrare in prima persona, poi, è risultato lo strumento più efficace perché sentissimo tutto il tormento e la depravazione di una donna che, fino alla fine, non ammetterà davvero le sue colpe se non attribuendone l'origine al padre. Poiché è stata costretta alla clausura e alla castità , il diavolo l'ha spinta a tutto questo.
Romanzo scorrevole e che vi terrà incollati alle pagine nonostante sappiate già come andrà a finire.
Se vi va di leggere altro di Matteo Strukul, noi vi consigliamo:
Paolo e Francesca (trovi una breve recensione qui)
A noi non resta che ringraziare la casa editrice per la copia inviataci e Matteo per averci regalato ancora una volta una storia davvero emozionante!
Alla prossima lettura!